Marco Bellano
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Chi ha raccolto l’eredità di Morricone?

È il compositore stesso a dare la risposta nel corso di un’intervista fattagli nel 2007 da Marco Bellano – autore di questo scritto – e rimasta inedita.
Perché con Ennio Morricone non se n’è andato solo “colui che scrisse ‘ah-ee-ah-ee-ah’” ma anche un maestro in grado di far scoprire i suoni della musica tradizionale al grande pubblico, come con il celebre tema per l’oboe in Mission.
A poco più di tre mesi dalla scomparsa del grande compositore italiano, MusiCare vuole ricordarlo così.

Nei tristi giorni seguenti la scomparsa di Ennio Morricone ha suscitato un breve sorriso, benché amaro, un curioso titolo comparso nel sito internet del Washington Post: “Ennio Morricone, Italian composer who wrote ‘ah-ee-ah-ee-ah’ theme from ‘The Good, the Bad and the Ugly’, dies at 91”. L’apparente pochezza della scelta di identificare Morricone con quella buffa trascrizione fonetica lascia però intravedere una verità: nella cultura popolare, Morricone è il compositore dei suoni inaspettati che si fanno musica. Fischi, schiocchi di frusta, singole note di strumenti “minori” come l’armonica a bocca e vocalizzazioni semplici ed energiche, ripetuti ossessivamente con carattere e ingegno, diventavano piccoli leitmotiv indimenticabili, all’interno di architetture polifoniche sontuose. In queste ultime viveva l’eredità della scuola romana novecentesca, che passò a Morricone tramite l’insegnamento di Goffredo Petrassi; i mezzi musicali apparentemente “poveri”, invece, erano frutto delle esperienze fatte dal compositore con il Gruppo di Improvvisazione di Nuova Consonanza, che dedicò una parte importante delle sue attività all’esplorazione di risorse sonore anti-musicali e rumoristiche.

Chi ha raccolto, invece, l’eredità di Morricone? Così interrogato da chi scrive nel 2007, durante un’intervista poi rimasta inedita, il Maestro ha risposto: «Diversi autori hanno concezioni musicali che sento di condividere, per quanto con questo non voglia dire che tali artisti scrivano con uno stile simile al mio (non saprei nemmeno dire se ci sono dei compositori che mi “assomigliano”, musicalmente). Potrei citare Franco Piersanti, Carlo Crivelli e anche Nicola Piovani. Oppure Fabio Vacchi, che pur essendo compositore dalla lunga esperienza ha esordito relativamente da poco nel cinema, facendo con Ermanno Olmi Il mestiere delle armi [2001] e Centochiodi [2007]. Nonostante non si possa chiamare ancora musicista cinematografico, credo che quello che ha fatto finora lo abbia fatto molto bene. Ciascuno deve lavorare secondo la propria poetica, il proprio stile, la propria cultura e le proprie convinzioni musicali: chi mantiene coerentemente tali presupposti non potrà che realizzare qualcosa di buono».

È vero, Morricone resterà inimitabile; non per questo, tuttavia, il suo stile ha mancato di “contaminare” altri compositori, nonché tutto l’ambito della musica per film nella sua interezza. Si possono trovare tracce del suo “passaggio” nel cosiddetto spaghetti western già poco dopo la “Trilogia del dollaro” di Sergio Leone, quando altri musicisti, all’opera su pellicole di genere analogo, cercarono il favore del pubblico rievocando atmosfere “alla Morricone”; si vedano certe pagine di Piero Umiliani, o di Piero Piccioni e Bruno Nicolai, che di Morricone era per giunta stato stretto collaboratore. Oltre i confini dell’Italia, poi, il cinema americano ha lentamente fatto propri certi stilemi di Morricone, soprattutto per quel che riguarda l’uso di vocalizzi inseriti fascinosamente nella tessitura orchestrale. Si veda, nel cinema fantastico, Danny Elfman; e poi anche Hans Zimmer, che in più di un’occasione ha dichiarato i suoi debiti nei confronti di Morricone, da lui conosciuto e frequentato personalmente.

Si potrebbero poi citare gli influssi che Morricone ha avuto sui complessi jazz o di musica pop, dove talvolta “Morricone” diventa persino metonimia per il genere musicale con cui tali gruppi si identificano: ciò ha particolarmente senso, considerando che il compositore firmò anche gli arrangiamenti di alcuni momenti memorabili della canzone italiana, da Gino Paoli a Mina.

Il segno di Morricone, comunque, è forse quello del talento assoluto nello scoprire emozioni immortali nell’assoluta semplicità. Nonostante gli “ah-ee-ah-ee-ah” in superficie, quel che resta davvero della sua musica è il senso di intensa rivelazione regalato ai suoni da lui resi protagonisti. È il caso di concludere dando di nuovo la parola a Morricone, tramite l’intervista a cui si è accennato prima: «Non desidero distinguere tra timbri “eccezionali” e “convenzionali”. Io credo che anche un timbro tradizionale, come quello di un oboe, possa essere una grande scoperta per lo spettatore, se il suo ingresso è preparato nella maniera giusta. Sarà il gusto del compositore a suscitare o meno questa reazione del pubblico, e a fargli “individuare” un suono piuttosto che un altro. La risposta psicologica di chi ascolta può dunque essere certamente indotta, ma con qualunque suono a disposizione, se usato nella maniera dovuta».