Redazione
d'altroCanto

Da De André a Bach, con un click

Nella società del surf tra siti, social network ed esperienze (con le seconde che paiono acquisire significatività solo se registrate sui primi), la superficie batte la profondità, la rapida assimilazione prevale sulla lenta digestione. Occorre essere mobili e leggeri, per scivolare da un nodo all’altro della rete. Perché nessun nodo ha un valore in sé; ne ha in quanto rimanda ad altri nodi. L’approfondimento rallenta i passaggi, nega il progresso in orizzontale, impone la verticalità del mondo antico. Che spazio hanno in questo mondo Wagner e Brahms, Claudio Monteverdi e Carlo Gesualdo? Sono nodi della rete, magari meno frequentati di Freddy Mercury o Bruce Springsteen. Potrebbe accadere però che un appassionato di Fabrizio De André, passando per la sua Canzone dell’amore perduto, arrivi a Georg Friedrich Telemann in un solo balzo: il cantautore genovese prese la melodia del suo pezzo dall’adagio del concerto per tromba in re maggiore del tedesco. E da Telemann si arriva facilmente a Bach, e da qui a Beethoven e Brahms. Si faceva anche una volta? Magari sì, ma con più difficoltà, scartabellando enciclopedie. Adesso tutto è a disposizione con un click. Si rischia il livellamento? Viene meno la differenza di “valore estetico”? Darà scandalo passare con due salti da De André a Bach? La percezione dello scandalo è solo un problema di anagrafe: per i millennial sarà tutto normale. E non è detto che qualcuno di loro, attirato dal magnete Bach, non affondi nella sua grandezza. Perché in effetti nel valore della musica è insita la sua resistenza al tempo che cambia. Sarà solo il modo in cui la si avvicinerà a cambiare.

 

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