Giovanni Costantini
laNota

Fase 5: pensare alla cultura significa prendersi cura del Paese

E poi? È stato scritto così tanto sul presente e sull’immediato futuro che, a costi di far sorridere, per provare a dire qualcosa che non sia già stato esplorato dall’ultimo dei commentatori, occorre chiedersi come sarà la fase 5: è questa la prima cifra che occorre digitare dopo la parola fase perché il motore di ricerca non ci associ automaticamente il termine covid.
E sono molti gli spettatori silenziosi che si chiedono cosa sarà, poi, attendendo ad una “nuova normalità”. Questo ciclone ha travolto l’ambito sanitario, ha pesantemente colpito una determinata fascia d’età e alcuni territori relativamente circoscritti, ma ancor più ha costretto moltissimi sani ad una vita malata.
Una volta superate le fasi di uscita, è a questa moltitudine di cittadini che una politica intelligente dovrà rivolgersi: ai tanti che si sono affidati alle decisioni dall’alto, che hanno sacrificato, aspettato, rinunciato, capito, cambiato.
A ben vedere, le restrizioni hanno maggiormente colpito coloro i quali avevano una vita culturale. E utilizzo volutamente questo termine, nella sua accezione più ampia, per operare una distinzione dalla vita sociale, che è altra cosa. Chi vive le proprie giornate in un reticolo circoscritto di rapporti e luoghi che si ripetono come una costante ha effettivamente una vita sociale, che è sì stata sacrificata ma che magari si limitava ad una visita ai genitori, un passaggio dal tabaccaio per l’acquisto del quotidiano, la spesa alimentare nei negozi di fiducia e l’eventuale gruppo di aggregazione una volta in settimana. Diverso è il caso di coloro che vivevano più dinamicamente, attraverso relazioni con persone, istituzioni e territori in continua o frequente alternanza, nel lavoro e nel tempo libero. Chi viaggiava, visitava e frequentava eventi, luoghi pubblici e siti culturali ha avuto un tasso di perdita di qualità della vita molto più alto.
Per dirla con parole più semplici useremo la matematica di una delle normative applicate in Veneto: se il raggio di azione abitudinaria di una persona era di cinque chilometri, trovarsi a poter fare 200 metri dalla propria abitazione ha fatto perdere uno “spazio vitale” di quasi cinque chilometri; ma se la vita di un soggetto spaziava su regioni diverse, spingendosi settimanalmente a centinaia di chilometri dalla residenza, con relative relazioni, ecco che il gap vitale è molto più grande.
Non solo: è altamente probabile che nelle cosiddette fasi 2, 3, o 4 che siano, il raggio di azione dei cinque chilometri possa essere facilmente restituito; altro discorso sarà il vero viaggiare e condividere.
Non si tratta di fare graduatorie tra chi ha subito maggiormente o su chi è stato più bravo. Si tratta di tornare ad una qualità della vita – mai questo modo di dire post-moderno fu più pertinente – che dia soddisfazione a tutti e che, possibilmente, ci faccia progredire. Se il Coronavirus è stato il tempo dei localismi, delle regioni, della chiusura, la nuova normalità diventi il tempo dell’apertura, dello scambio, dell’Europa. Magari anche più di prima, ce n’è di bisogno: dopo mesi passati barricati in casa, anche i più ritrosi potranno scoprire di aver voglia di mettere il naso un po’ più in là. E dovranno trovarvi qualcosa di bello.
I lavoratori del comparto Bellezza – non me ne vogliano estetisti e parrucchieri, mi riferisco ai professionisti dello spettacolo – ed il loro pubblico appartengono alla categoria dei maggiormente penalizzati: sono viaggiatori, visitatori, uomini e donne in movimento, fisico e intellettuale. I produttori ed i fruitori di beni culturali aspettano un tempo a venire del quale oggi non si può forse nemmeno far parola: non solo perché non vi sono le condizioni per trarre conclusioni certe ma anche per una sorta di senso di pudore nei confronti di chi patisce perdite ben più pesanti dal punto di vista umano.
Ma non si commetta l’errore di ragionare solo sull’economia delle categorie sopra citate: quanti lavoratori dello spettacolo senza un contratto e quanti spettatori senza potere d’acquisto.
La ripresa economica parte da una ripresa culturale, fatta di relazioni, movimenti e scambi. Fatta di strette di mano senza guanti e di sorrisi visibili.
Pensare alla vita culturale di un Paese significa ri-pensare la sua società.

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