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Iván Fischer: l’orchestra del futuro sa suonare un quartetto in ospedale

Non solo bravi orchestrali, ma musicisti capaci di comunicare la musica e “servire la comunità”. È l’idea rivoluzionaria del direttore della Budapest Festival Orchestra che, sulla situazione attuale, premette: “il concerto on-line non può sostituire l’esperienza dal vivo perché non prevede il contatto umano”.

Mercoledì 15 aprile si è svolta la prima tavola rotonda in diretta streaming sul canale facebook della Società del Quartetto di Vicenza, dal titolo “Tornare a far musica”. Sul tema del post Coronavirus, moderati dal critico musicale Cesare Galla, si sono susseguite le voci di vari addetti ai lavori del settore dello spettacolo dal vivo. Pubblichiamo – in varie puntate – gli interventi dei relatori (nel caso del maestro Fischer riportiamo il discorso completo, essendo il video in inglese), seguiti da un breve commento del direttore di MusiCare.

Iván Fischer, direttore Budapest Festival Orchestra
«Non sapendo quanto potrà durare questa situazione, è per me importante pensare a quali potrebbero essere gli scenari futuri del fare musica. Io non credo nei concerti on-line: non possono essere la soluzione perché se la gente ama i concerti è anche per il contatto umano che prevedono, per il coinvolgimento fisico che scaturiscono.
E solo pochi artisti potrebbero offrire a distanza una resa altrettanto di qualità che dal vivo, perché nelle loro corde. In questo senso mi viene in mente Glenn Gould, che decise di non tenere più concerti limitandosi alle sole incisioni discografiche. Questo fu abbastanza strano ma è importante ricordarlo ora: Gould non voleva questo contatto umano di cui parlavo prima; egli preferiva vivere il suo momento creativo nel chiuso di una stanza, da solo, per poi condividere questo momento speciale attraverso la registrazione.
La sola legittimazione del concerto on-line potrebbe essere una dimensione creativa come quella di Glenn Gould; in mancanza di questa ci appresteremmo a replicare on-line dei tradizionali concerti, sostituendoli con qualcosa di impoverente. L’artista dovrebbe cercare dentro sé stesso una creatività di questo tipo. Il concerto on-line non può essere una copia della performance dal vivo: è una nuova forma, è qualcosa di diverso, richiede di pensare a qualcosa di nuovo e originale. Questa è il primo pensiero che ci tenevo a condividere. Il secondo risponde alla domanda: come sarà l’orchestra sinfonica del futuro?
L’orchestra sinfonica è qualcosa di meraviglioso: io amo questo soggetto. Ma è anche una forma d’arte passata di moda: l’idea di cento musicisti che suonano assieme risale a Richard Strauss, a Gustav Mahler. Ora va riformata e un po’ cambiata. Penso che il soggetto del futuro debba essere inteso come un gruppo di professionisti che fa musica in una molteplicità di forme. Io mi immagino un’orchestra che, in alcuni casi, lavora come gruppo sinfonico e, in altri momenti, si frammenta in gruppi che realizzano forme e stili diversi: ad esempio può diventare un gruppo barocco con strumenti originali; oppure possono esserci dei musicisti che, per formazione e vocazione, sono maggiormente portati a comporre ensemble che eseguono musica contemporanea; e poi la musica da camera, il quartetto d’archi… E l’organizzazione dovrebbe essere come quella di una casa di produzione in grado di gestire un concerto sinfonico e, la settimana dopo, di spedire i musicisti a servire la comunità, il territorio. E gli orchestrali devono imparare a servire la comunità in molti modi: andando nelle scuole, negli ospedali, nelle case di riposo e ovunque possano portare la loro arte. Il concetto che debba essere il pubblico a venire da noi, è passato: dobbiamo essere noi in grado di raggiungere le persone.
Il passo successivo è che il musicista aiuti le persone a fare musica: gli orchestrali dovranno quindi essere in grado di tenere lezioni, di insegnare ai dilettanti, operando nell’educazione con varie modalità.
Io mi immagino così l’orchestra del futuro e penso che questa dovrà prevedere di dare spazio anche alla creatività dei singoli musicisti. Il che dovrebbe essere molto più interessante e coinvolgente della sola attività da orchestrale.»

Il pensiero del maestro Fischer è rivoluzionario: come tale, visionario e, in un certo senso, pericoloso.
Visionario perché solo una piccola parte degli attuali professionisti in organico alle orchestre (italiane) accoglierebbe favorevolmente una proposta di questo tipo. E, ci sia concesso, solo una parte avrebbe la preparazione professionale per far fronte ad un impegno di questo tipo. Non ci soffermiamo nemmeno sulla questione della sindacalizzazione delle orchestre, tema tanto delicato quanto lontano dalle prospettive del maestro Fischer, che vola molto alto…
Pericoloso perché, in un certo senso, propone un “lavorare di più, lavorare in pochi”. Per lo meno finché in Italia non ci sarà un “sistema” sul modello del Venezuela, con un’orchestra sinfonica attiva in ogni città e sul suo territorio, con eccellenti ricadute sulla comunità, come prospettato da Fischer.
Tuttavia, pare ragionevole che questa debba comunque essere la strada: musicisti in grado di suonare bene e parlare bene, di insegnare e dialogare col pubblico; musicisti diplomati in uno strumento e specializzati in un repertorio ma senza cadere nell’unicità.
C’è tanta strada da fare, ma la carenza di posti di lavoro nel settore l’ha già fatta intraprendere alle nuove generazioni. (Giovanni Costantini)

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