Marco Bellano
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La vox humana di Sollima
per una Storia che non si ripeta

Il poliedrico musicista siciliano a Vicenza per il Giorno della Memoria: un viaggio musicale in atmosfere storiche e sonore solo apparentemente lontane, legate dalla sapiente scelta di repertorio del violoncellista e compositore. Dalle musiche di Salamone Rossi detto l’Ebreo alla Lamentatio per l’olocausto del popolo armeno, scritta dallo stesso Sollima, passando per Kol Nidrei e le suite di Bach e Bloch.

Ancor prima dell’Olocausto del XX secolo e ancor prima dell’istituzione del Giorno della Memoria (già nel 2000 in Italia, e nel 2005 a livello internazionale) la musica aveva provato a celebrare, con e senza parole, il millenario soffrire del popolo ebraico. Il concerto che Giovanni Sollima tiene al Teatro Comunale di Vicenza lunedì 27 gennaio – data dedicata a questo ricordo e concerto voluto appositamente dalla Società del Quartetto di Vicenza all’interno del suo cartellone – chiama a raccolta alcuni alti episodi di questo racconto sonoro per riflettere sulla più grande tragedia degli ebrei, sia con composizioni ispirate a loro melodie o tradizioni, sia con brani non direttamente legati a questo tema, ma saldamente inseriti nel quadro complessivo tramite un coerente tessuto di stili e contenuti.

Trattandosi di Sollima, è chiaro che la voce a cui si affida il “canto” doloroso dell’Olocausto debba essere quella del violoncello, vox humana; per l’occasione, dunque, il repertorio selezionato propone anche trascrizioni per tale strumento di brani che vedevano in origine la partecipazione della voce. È il caso del Kol Nidrei, che può essere ritenuto il cuore strutturale ed emotivo dell’originale programma. Non si conosce l’autore dell’antica linea melodica ancor oggi utilizzata per la recita di questa formula solenne, che “scioglie ogni voto” la sera dello Yom Kippur: il poeta austriaco Nikolas Lenau disse che «una melodia tanto misteriosa, ricolma della sofferenza di un popolo, difficilmente potrebbe essere stata composta da una sola mente, per quanto ispirata».

Prima di arrivare al Kol Nidrei, tuttavia, Sollima toccherà altre suggestive tappe, cogliendo voci della diaspora da luoghi e tempi molto diversi tra loro. Si partirà dal violinista, cantante e compositore Salamone Rossi detto l’Ebreo, che servì Vincenzo Gonzaga a Mantova dal 1587 al 1628, proprio nel periodo in cui la cultura italiana relegò le minoranze ebraiche nei ghetti, a seguito della Controriforma. Composizioni di Rossi come Hashirim asher le Sholomo (“Il canto dei canti di Salomone”) furono un tentativo di ricomporre la frattura tra la cultura italiana e quella ebraica, usando la polifonia occidentale su testi tradizionali destinati al canto in sinagoga.

La Suite n. 1 per solo BWV 1007 di Johann Sebastian Bach non ha, invece, riferimenti all’ebraismo. Al massimo, per trovare un vago collegamento, si potrebbe fare ricorso a un aforisma di Mischa Maisky, che ebbe a dire: «Se dovessi pensare alla musica come alla mia religione, allora queste sei Suites sarebbero la Bibbia». Quella che Sollima eseguirà è in effetti parte del più importante corpus di lavori (1717-1723) dedicati al violoncello lasciati da Bach: sono opere rigorosissime nella costruzione razionale quanto eleganti nello stile, in cui fantasia e virtuosismo fanno pensare a modelli francesi. C’è però una valida ragione per la presenza della Suite n. 1 nel programma: essa fa da contrappeso e specchio alla Suite n. 3 B. 97 per violoncello solo di Ernest Bloch. Il lavoro, del 1956, è il primo di una serie di tre, ed è profondamente influenzato da Bach e altri modelli barocchi (tra cui la “sonata da chiesa”). Compositore svizzero naturalizzato statunitense, Bloch era in verità di origini ebree, a cui si sentiva profondamente legato: non di rado esse diventarono soggetto per fare musica, come in Schelomo per violoncello e orchestra, una delle sue opere più fortunate. La Suite n. 1 fu la prima esperienza di Bloch con la scrittura per violoncello solo, ormai al termine della sua esistenza (nel 1956 ebbe un attacco di cuore e morì nel 1959): l’impulso venne dalla violoncellista Zara Nelsova, poi dedicataria del lavoro.

Dal Novecento musicale proviene anche Az hit… (“Fede”), che il compositore ungherese György Kurtág adattò per violoncello solo a partire da un Lied del ciclo I proverbi di Péter Bornemisza (1963-1968), ispirati a massime del celebre predicatore protestante del 16° secolo. Az hit… è all’inizio della quarta e ultima parte, intitolata Primavera. Pur non esplicitamente legato all’ebraismo, l’andamento dolente della melodia trova forte intesa emotiva con l’atmosfera costruita da Sollima con le sue scelte di repertorio; d’effetto notevole, in tal senso, sono le pause indicate da Kurtág, che lasciano respirare e risuonare il violoncello come una voce.

La conclusione del programma viaggia ancora nel tempo e nello spazio. Prima si incontra il veneziano Benedetto Marcello e uno dei suoi Salmi (Intonazione degli ebrei tedeschi sopra Ma’oz Zur Yeshuati) tratti dalla raccolta L’Estro Poetico-Armonico (1724-1726), basati su parafrasi dei Salmi di Davide. Pare che il compositore si fosse personalmente recato presso il Ghetto ebraico per far propri i canti liturgici dei riti sefardita e ashkenazita. Infine, in chiusura, si fa avanti Sollima stesso in veste di compositore: la sua Lamentatio debuttò nel 1998 a memoria di un altro Olocausto, quello degli Armeni, avvenuto tra il 1915 e il 1916. La storia, purtroppo, si è ripetuta molte volte: troppe sono le occasioni a cui la Lamentatio può adattarsi. Celebrare la loro memoria è anche coltivare speranza che non debbano più aumentare in numero.