Francesca Lazzari
echi

Maschilismo e sessismo oscurano l’arte, non la esaltano… in una società civile.

“Nel rap, non solo in quello italiano, c’è un sessismo esplicito. Da sempre. Ce ne accorgiamo e ci indigniamo solo a Sanremo?”. Le riflessioni di Francesca Lazzari, tra etica, società ed espressione artistica, su vicende di attualità così lontane ma, al tempo stesso, troppo vicine. È chiamato in causa il concetto si arte tutta. E, con esso, tutta la società.

Un rapper di 28 anni, Junior Cally, invitato alla settantesima edizione del Festival di Sanremo, finisce al centro delle polemiche per via di alcuni versi di una canzone accusata di sessismo che sembra in qualche modo avvallare la violenza sulle donne. Si scatena la discussione e, a quel punto, social e media si accorgono che le canzoni, non solo quella di Cally, sono intrise di maschilismo…
La polemica non riguarda se un testo, per quanto discutibile, debba o meno andare a Sanremo, in orario di prima fascia del servizio pubblico televisivo, ma se un musicista che in passato ha scritto e cantato testi sessisti o scorretti abbia diritto di parteciparvi. I versi di Strega (del 2017) e Si chiama Gioia (il brano del 2018 di cui si discute) sono, a mio avviso, eticamente inaccettabili. Nessuna donna e nessun uomo dotati di un minimo di consapevolezza, assennatezza, rispetto, visione inclusiva, si identificherebbero con la narrazione evocata, ma il rap è uno dei generi musicali in cui la cifra stilistica è l’eccesso, dove il maschilismo è più presente e dove nei testi delle canzoni la donna è descritta spesso come un oggetto. Nel rap, non solo in quello italiano, c’è un sessismo esplicito. Da sempre.
Ce ne accorgiamo e ci indigniamo solo a Sanremo?
Il tema è importante, al di là della polemica, delle dichiarazione dei vertici Rai e degli/delle opinion leader e offre l’occasione per riflettere su una questione seria come quella del sessismo e della violenza di genere nelle espressioni artistiche e culturali.

Le canzoni (ma non solo) devono essere considerate in riferimento al periodo storico in cui sono state composte, ai connotati culturali del contesto sociale e alle intenzioni dell’artista che le interpreta e le propone ad un determinato pubblico. Spesso i testi dei brani musicali si basano su un repertorio linguistico fondato su variazioni stilistiche e sociali che si caratterizzano per un registro informale, gergale e colloquiale, riferibile al proprio tempo, alla propria tribù, al proprio pubblico. Soprattutto nel rap, il testo semiotico è estremo, provocatorio, violento, controverso, propone una narrativa dedotta ed evocata anche da altra musica (il metal, il trap…), da alcuni film, da certi videogiochi che dilagano tra i giovani e non solo. Il rap veicola spesso contenuti antisociali, scomodi, ma non è inusuale che la musica popolare racconti e enfatizzi stili di vita discutibili (ci ricordiamo il rock e l’uso delle droghe?). Il femminicidio, magari con linguaggio meno esplicito e meno volgare, si ritrova in molti brani italiani e internazionali. Se gli stessi contenuti sono veicolati dalla canzone d’autore o dal rock classico, magari utilizzando musica più strutturata e parole più ricercate, sono più accettabili?
Per me è altrettanto detestabile l’ipocrisia di certa musica (italiana e non), con le sue canzoni stereotipate dove, magari meno esplicitamente, passa un sessismo mieloso, costruito su un immaginario falso e non meno oggettivante delle donne.

Da sempre gli eventi musicali popolari, qual è Sanremo, sfruttano abilmente il discorso mediatico, sia nell’enfasi che nella polemica, per instaurare un rapporto privilegiato, quasi personale, col proprio pubblico di riferimento. I media e i social giocano un ruolo decisivo nella cultura dell’oggettivazione sessuale e contribuiscono sistematicamente alla frammentazione del corpo femminile, all’annullamento della donna in quanto persona tramite la stereotipizzazione del suo ruolo culturale e sociale. Sanremo e la televisione non sfuggono a questa rappresentazione, la mettono in scena sapientemente.
L’ uomo che ama troppo e uccide per il troppo amore o quello dell’uomo che abusa in preda ad un raptus irrefrenabile sono due chiavi di lettura dei fatti di violenza di genere che ritroviamo ampiamente usate non solo nei media e nei social, ma anche nella narrazione letteraria, filmica, giornalistica, quotidiana, nelle conversazioni. Allora un dubbio sorge spontaneo: forse la parola e il racconto mediatici riflettono e mettono nero su bianco quell’antica consuetudine culturale che giustifica la reazione violenta degli uomini davanti al cambiamento degli equilibri sociali tra i generi. Parto dall’ipotesi secondo cui si tende a raccontare i casi di femminicidio attraverso chiavi di lettura implicitamente maschiliste e sessiste, nei giornali, in tv, nei film e anche nel rap, anche nelle canzoni.

Pratiche e stereotipi sessisti alimentano la discriminazione e la discriminazione è una forma di violenza. Il sessismo praticato abitualmente diviene causa e fonte di violenza di genere e costituisce un’esperienza quotidiana che, proprio per la sua pervasività, è difficile da concettualizzare e alla quale non è semplice resistere. La violenza di genere non può e non deve essere considerata una realtà “inevitabile”. La causa principale della violenza di genere è la discriminazione, agita in ogni sfera della vita delle donne. E la discriminazione cresce negli stereotipi culturali, nel sessismo diffuso implicito ed esplicito, consapevole e inconsapevole, e nell’ignoranza.
Molti studi recenti hanno dimostrato che esiste una relazione fra esposizione a contenuti sessualizzanti e atteggiamenti sessisti. Donne e uomini esposti a immagini e a contenuti sessualmente oggettivanti, dimostrano di accettare i “miti sullo stupro” (se l’è cercato), modificano, in negativo, la percezione della donna, tendono a trattare le donne come oggetti e a valutarle solo dal punto di vista estetico.
Secondo altri studi, gli algoritmi che regolano le informazioni in rete tendono ad associare le donne con la cura domestica e privata e gli uomini con la carriera e le attività pubbliche (è fantascienza sperare che gli algoritmi siano in grado da soli di liberarci dal sessismo diffuso tra gli esseri umani).

Per risolvere questo problema sarebbe meglio concentrarsi sul processo educativo, sulla cultura della valorizzazione delle differenze per eliminare gli stereotipi dalla mentalità delle nuove generazioni, investire risorse su politiche culturali autenticamente inclusive, investire maggiormente nella cultura diffusa nei territori, nelle scuole, nelle città, nei teatri, nelle orchestre, nei musei, nella promozione alla lettura, nell’arte, … e meno nei grandi eventi mediatici!
Non basta indignarsi, firmare appelli, censurare un rapper che esplicitamente, nel circo mediatico di Sanremo, inneggia alla discriminazione e alla violenza se non s’interviene nella quotidianità per contrastare il maschilismo, il sessismo e i pregiudizi di genere nelle relazioni, nel linguaggio, nelle sensibilità delle persone e, di conseguenza, nella comunicazione mediatica, nelle trasmissioni televisive, nel marketing, … dappertutto.

Solo la reciprocità del riconoscimento tra persone differenti dà significato ai sentimenti, alle intenzioni e alle azioni del sé e permette di verificare l’efficacia del proprio agire e della propria creatività artistica. Ogni persona deve poter realizzarsi ed espandersi in tutta la sua originale pienezza, ma nella consapevolezza che il maschilismo e il sessismo oscurano l’arte, la rendono sterile, la deteriorano nel conformismo e nella ripetizione.

 

 


Francesca Lazzari, formatrice e consulente, ha un PhD in Scienze della Cognizione e della Formazione e un Master in Ricerca, Didattica e Counseling formativo. Si occupa di progetti e idee per la cultura e le organizzazioni, di gender equity studies, di economia della cultura e della conoscenza. Ha numerose pubblicazioni scientifiche. Tra le esperienze di impegno sociale e civico ricordiamo l’impegno amministrativo nel Comune di Vicenza, in diverse Istituzioni culturali e nell’associazionismo. Ama la musica, l’arte e il cinema.