Michele Calgaro
echi

“Porto Franco”: il mio ricordo
del grande Cerri

Dopo tante note fatte assieme – anche sul palco del Comunale di Vicenza, nel lontano 2009 – ecco le parole del chitarrista vicentino dedicate “all’amico e maestro Franco Cerri”, che si è spento nella sua Milano lo scorso 18 ottobre. Uomo d’altri tempi, che ha saputo vivere la televisione senza vendersi… o vendendosi per una buona causa. Aneddoti e back-stage nelle parole di Michele Calgaro, tra grandi nomi e grandi ricordi.

Che piacere aver conosciuto, frequentato e suonato con Franco Cerri!
Quante cose ho imparato! Quanti ricordi appassionati e divertenti! Lui era così: di una semplicità disarmante, un’ironia contagiosa e una classe d’altri tempi. Non potevi non volergli bene.
Ci ha lasciati, a 94 anni “suonati”, senza disturbare e “in punta di dita”, come amava dire.
Dal suo punto di vista gli era semplicemente capitato di essere il più importante chitarrista di jazz italiano, come gli era capitato di suonare con Django Reinhardt, Billie Holiday, Dizzy Gillespie, Gerry Mulligan o Stephane Grappelly.

IL VIOLINO DI GRAPPELLY E LA CHITARRA DI CERRI

Così come gli capitò di fondare i corsi civici di Milano o condurre importanti trasmissioni televisive in RAI con Mina, Ornella Vanoni, Bruno Martino, Lucio Dalla e tutti i maggiori cantanti italiani degli anni ’50, ’60, e ‘70.

1968: ORNELLA VANONI E FRANCO CERRI ALLA RAI

La sua umiltà è stata una grande lezione.
Nelle nostre frequentazioni musicali non mi ha mai fatto neppure lontanamente pesare l’importanza della sua figura artistica. Semplicemente si suonava assieme, ascoltandoci e rispettandoci. Farlo con me o, come gli capitò, in trio con Jim Hall e George Benson non cambiava minimamente il suo approccio rispettoso, collaborativo e generoso. Ricordo che, al teatro Verdi di Milano, durante un importante concerto mi chiese di sostituirlo per suonare, in duo con Ornella Vanoni, il brano My Funny Valentine. La scusa addotta era che non conosceva bene la tonalità della Vanoni, ma in realtà voleva solamente darmi visibilità per valorizzarmi.

Un altro aspetto che mi ha sempre colpito in Franco è stato il suo immenso senso di dignità e coraggio, anche di fronte alle disgrazie più terribili come la perdita del figlio Stefano, grande bassista col quale suonò per anni o le due invasive operazioni di cancro subite. Guardava sempre avanti cercando il meglio e ringraziando la vita per tutto quello che gli aveva dato.
L’ho visto leggermente infastidito una sola volta, quando un fan, alla fine di un concerto lo chiamò “l’uomo in ammollo”. Non gli piaceva essere identificato con quella pubblicità. Comunque poi si schernì e con un sorriso mi disse: “in fondo con quello spot ho pagato gli studi universitari di mio figlio”.

Devo dire che tra noi c’era una bella intesa musicale e una certa complementarietà dei nostri stili chitarristici. Inoltre ci accomunava il divertimento per i giochi di parole, in particolare nei titoli delle composizioni. In occasione di un bel concerto che tenemmo al Teatro Comunale di Vicenza nel 2009, organizzato dalla Società del Quartetto, mi chiese di comporre un nuovo brano. Una volta finito decisi di dedicarglielo e lo intitolai “Porto Franco”, visto che nei nostri spostamenti guidavo io la macchina. Inutile dire che la cosa gli piacque tantissimo.

ASCOLTA “PORTO FRANCO”

Il suo stile chitarristico si è contraddistinto per uno spiccato senso dell’armonia, grazie anche ad un notevole orecchio naturale (che lui chiamava “la paletta”) e per un gusto solistico estremamente melodico che coniugava coerentemente la tradizione italiana con quella afro americana. Il suo sound, sempre caldo e garbato, e la ricerca di una logica compositiva nelle improvvisazioni sono caratteristiche assolutamente distintive e identificative di una personalità musicale unica ed irripetibile. Qualità dei più grandi musicisti, non solo di jazz.

In questo momento si affollano nella mente ricordi di cene, incontri, viaggi e, soprattutto tanta, tanta musica. Ultimamente l’avevo rivisto a Milano, nel suo appartamento, con un paio di miei allievi del Conservatorio. Avevano deciso di scrivere la tesi di laurea su di lui e la sua musica. Ci tenevo che lo potessero conoscere ed intervistare. La sua squisita ospitalità e la generosità nelle spiegazioni e analisi musicali hanno colpito e segnato i ragazzi, tra barzellette, aneddoti, musica, tè e biscotti. Anche in questo ha sempre avuto grandi meriti, come didatta, divulgatore e scopritore di talenti. Un lascito enorme.
Che privilegio aver conosciuto, frequentato e suonato con Franco Cerri!

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