Una contaminazione con un genere vicino, il jazz. Qualche parola per comprendere e conoscere uno stile, un modo di fare musica che ha attraversato il ‘900 e ancora vive, arrivando ad essere riconosciuto nell’insegnamento accademico. MusiCare è felice di ospitare un intervento – il primo di una serie – di un maestro del jazz.
“Jazz is a How, not a What” diceva il grande pianista Bill Evans, ossia il Jazz è un “come”, non un “cosa”, puntando l’accento non tanto sul contenuto quanto sulle sue modalità.
È del resto un concetto universalmente riconosciuto che la musica sia una forma d’espressione coniugabile come una sorta di linguaggio ed i linguaggi, per loro natura, non sono mai statici ma dinamici. Non vivono di regole prefissate ma si modificano in base ai contenuti, i tempi, i luoghi e soprattutto in relazione alle persone e alle comunità. Questa evoluzione si riferisce sia alla forma scritta che parlata, la prima “composta” e la seconda “improvvisata”, secondo ritmi, accenti, timbri e modalità che identificano tanto l’individuo quanto la cultura o comunità di appartenenza.
La musica non fa eccezione.
Il Jazz si è così sviluppato in maniera sempre vitale ed innovativa dalle origini ad oggi, praticamente in tutte le culture del mondo, ognuna con diverse caratteristiche e peculiarità: esattamente come una lingua “viva” che si adatta all’espressione del tempo e del luogo. Da questo punto di vista si pone come uno degli stili più completi e innovativi nella storia della musica.
Sintetizziamo alcune modalità caratterizzanti:
– la centralità dell’improvvisazione, intesa come composizione estemporanea, frutto di una profonda conoscenza del linguaggio (armonia, ritmo, melodia, forme musicali, dinamiche, articolazione, ecc.);
– la centralità del ritmo e della poliritmia (ossia la successione e sovrapposizione di ritmi diversi, ndr);
– l’interplay ed il “dialogo” costante, estemporaneo ed irripetibile, tra i musicisti e con gli ascoltatori;
– la “personalizzazione” degli elementi musicali (timbro, tecnica, fraseggio ecc.) assimilati in maniera diversa, unica e identificativa da ogni musicista, ciascuno con il suo stile immediatamente riconoscibile;
– la contaminazione culturale, modalità costante di una musica che nasce dall’incontro di due culture (africana ed europea) in una terra straniera (America) dove il risultato non è mai una somma ma una cosa nuova.
Naturalmente il “cosa”, ossia i contenuti peculiari di questa musica, sono altrettanto importanti del “come”. Non possiamo affrontare il Jazz senza parlare dello swing, del blues, dei vari stili, degli elementi sintattici/grammaticali tipici della storia di questo genere, così come dei personaggi che la caratterizzano, dell’importanza della scrittura ed del rapporto con la musica classica e “colta”, di profondo interscambio.
Tutti elementi fondamentali che affronteremo in altri scritti.
Diplomato in Jazz e Chitarra Jazz presso il Conservatorio “A. Pedrollo” di Vicenza, ha tenuto ad oggi più di millecinquecento concerti in Italia ed Europa sia come leader che come sideman, ed ha registrato 40 cd di cui 4 come leader.
Attualmente ricopre la cattedra di Chitarra Jazz presso i conservatori di Vicenza e di Castelfranco Veneto e dal 1990 è Direttore e docente della Scuola di musica Thelonious di Vicenza.
Tra gli altri ha suonato con: Paolo Fresu, Franco Cerri, Jimmy Owens, Enrico Rava, Kenny Wheeler, Claudio Fasoli, Alex Sipiagin, Robert Bonisolo, Lydian Sound Orchestra (dir. Riccardo Brazzale), Jazz Vicenza OrKestra (dir. Ettore Martin), Orchestra di Barga (dir. Bruno Tommaso), Claudio Roditi, Rossana Casale, Ornella Vanoni, Cheryl Porter, Giorgio Albertazzi, ecc..