Redazione
d'altroCanto

Quale abbonamento per una “società liquida”?

Se è vero che la nostra è una “società liquida” (copyright Zygmunt Bauman) in cui la stabilità di molte relazioni si sbriciola, nella quale, giocoforza, non si ha un solo datore di lavoro per tutta la vita attiva né si vive sempre nello stesso posto, in cui ci si sposa di meno, preferendo la presupposta elasticità di convivenze non sanzionate da un patto, una società che sollecita il possesso più che la proprietà e quindi l’affitto più che l’acquisto della casa, il noleggio più che la titolarità di un’automobile, se tutto questo è vero ha senso vincolarsi con l’abbonamento a una stagione concertistica? Non è meglio scegliere fior da fiore, selezionando gli interpreti di cui si vuole “fare esperienza” piuttosto che optare per il pacchetto completo? Più in generale ha senso abbonarsi, a un giornale, ai mezzi pubblici, a una compagnia telefonica, a una palestra? Ecco, la palestra. Senza lo sprone dell’abbonamento la frequenteremmo regolarmente? Senza la tessera per l’autobus libereremmo abitualmente le strade dall’ingombro della nostra auto? Senza l’ineluttabile arrivo del giornale, ci informeremmo con altrettanta costanza? Quanta libertà senza abbonamenti, ma ogni giorno tocca decidere cosa fare: auto o tram? Compro il giornale? Vado al concerto? Senza l’abbonamento a una stagione concertistica, andremmo ad ascoltare anche interpreti che non conosciamo o brani mai sentiti, rischiando di scoprire che ci sono piaciuti? L’abbonamento solidifica le relazioni, ci sottrae un po’ della stressante responsabilità che ci impone la libertà e può aumentare la nostra fiducia, un bene troppo scarso tra le tante solitudini generate dalle relazioni tenui della “società liquida”.

 

 

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