Filippo Lovato
ilConcertoNONèMorto

Di cultura non si mangia…
ma si cresce: perché?

«Un euro investito nel settore culturale assicura un aumento del valore aggiunto di 1,7 euro con evidenti vantaggi sulla crescita della domanda aggregata e di entrate per lo Stato». Lo dice Luciano Monti, docente di Politiche UE alla LUISS. Eppure le istituzioni pubbliche italiane sembrano fare il contrario: quando c’è da tagliare, iniziano dai beni culturali. Possibile che gli altri settori generino moltiplicatori più elevati?…e si tiene conto dell’altra crescita, quella “qualitativa”?

Gli studi sugli effetti positivi dell’investimento culturale si moltiplicano. Molte istituzioni, sfidando un tabù per il quale il valore di un evento culturale non può essere misurato con i freddi numeri dell’economia o della ragioneria, commissionano e sovvenzionano valutazioni di impatto economico della realizzazione di un festival, della costruzione di un teatro, dell’organizzazione di una mostra o di altre iniziative. E identificano con un moltiplicatore superiore a 1 il successo della scelta.

Nel 2015, Luciano Monti, docente di politiche dell’Unione Europea alla LUISS, dichiarava: «Un euro investito nel settore culturale assicura un aumento del valore aggiunto di 1,7 euro con evidenti vantaggi sulla crescita della domanda aggregata e di entrate per lo Stato». Moltiplicatore 1,7 quindi. Certo ogni evento potrà generare un moltiplicatore più o meno alto di quel numero. Basta che sia superiore a 1.

Ma, allora, se investire in cultura rende, perché, in Italia, i primi soldi a sparire quando si devono fare tagli al bilancio pubblico paiono essere proprio quelli destinati alla cultura? È solo un problema culturale (il cortocirtuito è inevitabile): ovvero i politici sono ancora tutti schierati con Giulio Tremonti a cui venne attribuita la famosa dichiarazione «Con la cultura non si mangia»? O sono i cittadini a non volerla, la cultura? D’altra parte, qualcuno potrebbe dire, ogni nazione ha i capi che si merita. Soprattutto quando li elegge. Si può anche capire che uno sponsor privato si ritiri, specie se è in difficoltà. Ma se lo Stato deve valorizzare al meglio le risorse che ricava dalle imposte, non dovrebbe allocarle con maggior efficienza? Possibile che tutti gli altri settori generino moltiplicatori più elevati? Se avessimo usato tanta cautela nell’impiego del denaro pubblico, viene da pensare che l’Italia non avrebbe uno dei debiti pubblici più elevati al mondo. Quindi ha davvero senso tagliare le sovvenzioni agli eventi culturali? E va aggiunto un ultimo dettaglio: una proposta culturale ben fatta genera una crescita delle conoscenze di chi ne fruisce, provoca un arricchimento emotivo e relazionale in chi ne prende parte. Sono beni intangibili, difficilmente misurabili, ma non meno reali. Un concerto rischia di renderci migliori. È forse un problema?