Giovanni Costantini
laNota

Il violinista in garage

Ilya Gringolts è un “ragazzo” russo di 35 anni, ha vinto il Premio Paganini nel 1998 e ha suonato nei più importanti teatri del mondo. Non gli sono mancati i palcoscenici e le cornici in cui scattare foto memorabili della sua attività, tra lampadari luccicanti e sipari rosso rubino. Eppure un suo servizio fotografico – vedi copertina di questo numero – è ambientato in uno spazio che richiama il garage di un supermercato, più che una sala da concerto: sfondo grigio, cemento armato a vista, luce fioca. Fa tornare alla mente il commento sconsolato che fece un po’ di tempo fa un direttore d’orchestra, a proposito delle scelte di regia negli allestimenti odierni delle opere: «Arrivi in podio, alzi gli occhi e vedi tutto grigio, bianco e nero…pensare a quanti bei colori ci sarebbero!».

La foto di copertina potrebbe anche essere stata semplicemente scattata dietro le quinte di un teatro, dove il cemento armato e la luce fioca sono entrambi necessari. Ma non è un caso che lo sfondo in questione – e lungi da noi il volerne fare “una questione” – ricordi così tanto i nuovi fabbricati, stile Borgo Berga, volendo dare un riferimento vicentino. Così come, oggi, è sempre più difficile comprare dei graziosi vestitini colorati ad una bambina di otto anni: gli scaffali dei negozi tirano sulle varianti di grigio, ma guai a chiamarlo così: tortora, canna di fucile, fumo di Londra…manca solo il “grigio nebbia in val Padana”.

Una volta, il contesto puntava a dare la cifra della sostanza e a riconoscersi nel target cui si rivolgeva: banalizzando, i gruppi rock si facevano ritrarre in fumosi scantinati e le orchestre in eleganti sale. Nella società dell’immagine, non essendo concesso fotografare la bellezza di una sonata di Beethoven, si punta sull’appeal dell’artista che la interpreta. È anche questo un fatto di estetica e, se anche una villa palladiana, un prato verde o un affresco del Tiepolo ci restituiscono più Bellezza di un blocco di cemento corrugato, è possibile che un’immagine rivoluzionata possa essere un modo di uscire da determinati cliché di cui è ancora ostaggio la musica colta.

In questo nuovo modo di comunicare, però, l’artista (soprattutto la “star”) non potrà sottrarsi dal porsi alcune semplici domande, che fino a poco tempo fa non aveva bisogno di farsi: per chi suono?…a chi mi rivolgo e cosa voglio comunicare?…sono l’oggetto o sono il tramite?…voglio essere portatore di bellezza o campione di incassi?…

Questo MusiCare è denso di risposte più o meno esplicite, di esempi e di considerazioni sul tema. Ognuno trarrà le proprie conclusioni. E non dovremo stupirci se qualche bravo giovane musicista dirà: «io non gioco». Non per rifugiarsi tra lampadari e cliché, ma per ritrovare una sostanza che a volte si smarrisce nella forma che dovrebbe rappresentarla.

 

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