Filippo Lovato
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L’ultimo respiro di Bruckner, fedele a sé stesso fino alla fine

  • Autore: A. Bruckner
  • Titolo CD: Symphony No. 9
  • Interpreti: Budapest Festival Orchestra, I. Fischer (direttore)
  • Etichetta: CD Channel Classics, CCSSA42822, 2022, DDD

Vissuto in un tempo di esacerbato conservatorismo religioso, Anton Bruckner fu un cattolico sincero. Lo raccontano le sue origini paesane, la timidezza che irrigidiva i suoi movimenti, la devozione alla pratica organistica e al contrappunto, la diffidenza con cui guardava alla vita mondana di città, che fossero Linz o Vienna. La sua prima opera pubblicata fu una Messa, poi vennero le sinfonie, sinfonie che paiono però svolgersi come un rito, nella solenne compostezza del loro andamento. Iniziano in piano e poi, lentamente, scalano i decibel. A Bruckner si potrà sempre contestare un difetto di disinvoltura, una carenza di leggerezza che nell’alta società cittadina sono condannati con il bando dai salotti. Ma l’autore era così, fedele a sé stesso, alle sue radici e, curiosamente, alle pagane partiture di Wagner. Perché sia la musica sacra dell’austriaco che le sue rituali sinfonie si abbeverano alla sensualità wagneriana, quasi a mischiare rigore ed estasi.

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La sua nona sinfonia, in Re minore come la nona di Beethoven e il Requiem di Mozart, è un rito incompiuto. Bruckner riuscì a completarne l’Adagio in terza posizione, ma del finale non restano che appunti. La sinfonia nasce come un ambizioso congedo dal mondo, tanto di essere dedicata “Al buon Dio”. Bruckner vi lavorò fino alla sua morte, nel 1896 a 72 anni, e Fischer, nel booklet, precisa di non aver voluto registrare la nona prima di averne compiuti lui stesso 70. Ma il rispetto che il direttore ungherese dimostra nei confronti dell’ultima sinfonia di Bruckner non è disgiunto dall’inclinazione a sfrondarne la grandiosità dall’enfasi. E così la partitura si muove un po’ più rapida e asciutta, e il diabolico scherzo, col suo trio di tessiture mendelssohniane, è sbalzato in vigoroso slancio. Poi la Budapest Festival Orchestra, al solito sfavillante, si raccoglie nel denso e maestoso Adagio che si tende fino a una nota tenuta del corno, “l’ultimo respiro” del compositore.