Redazione
d'altroCanto

Sulla musica che eleva lo spirito…

Sulla musica si possono dire molte cose. Forse ne sono state dette anche troppe, al punto che diversi musicisti sono giunti a chiedere di limitarsi ad ascoltarla.
“Sulla musica”, tuttavia, è anche il titolo dello scritto di un pontefice, Joseph Ratzinger. Nel pensiero di Benedetto XVI la musica, più di altre arti, ha il potere di «aprire le menti e i cuori alla dimensione dello spirito e condurre le persone ad alzare lo sguardo verso l’Alto, ad aprirsi al Bene e al Bello assoluti, che hanno la sorgente ultima in Dio» (Discorso 29.4.10).
Ratzinger non mancava di specificare: “musica di alto livello”, o di definirla: “la grande musica”. All’indice del libro pubblicato dalla Marcianum Press di Venezia, figurano i grandi maestri del mondo tedesco: Händel, Bach, Mozart, Beethoven, Schubert, Mendelssohn, Bruckner; per gli italiani trovano posto Vivaldi, Verdi e, forse in maniera un po’ inaspettata, Rossini; un capitolo per Liszt, uno unico per tutti “i compositori russi” e uno per Domenico Bartolucci, maestro perpetuo della Cappella Musicale Pontificia Sistina e accademico di Santa Cecilia, ancora in vita al tempo della pubblicazione.
Sospendendo il giudizio sulla qualità e sull’eredità della musica di Bartolucci, tutti gli altri nomi appaiono sufficientemente storicizzati e degni dell’olimpo musicale. Diversamente, tutte le considerazioni sui benefici dell’arte dei suoni, potrebbero essere messe in seria discussione. Prima ancora che indicare le virtù della musica, abbastanza esplicitamente Joseph Ratzinger opera dunque una sua distinzione tra grande musica e musica piccola, tra musica alta e musica bassa.
Si tratta, questo, di un processo da sempre avversato da coloro che ritengono non sia corretto stabilire giudizi e gerarchie nell’arte, tanto più da parte di quelle religioni che in altre epoche hanno avversato lo sviluppo di quella stessa arte.
Eppure le parole di Ratzinger suonano oggi come una sorta di ripensamento da parte della Chiesa e dovrebbero forse esserlo per l’Occidente in genere.
Gioca anche su questo Giacomo Baroffio – uno dei maggiori studiosi al mondo di canto gregoriano, docente nella facoltà di musicologia a Cremona, già preside del Pontificio Istituto di Musica Sacra e direttore della “Rivista Internazionale di Musica Sacra” – quando in un pampleth tanto realistico quanto di fantasia, attribuisce a Papa Giovanni Paolo II uno scritto mai pronunciato, che dice così: «In campo musicale, negli ultimi decenni e anche durante il mio pontificato, ho assistito a un fenomeno deleterio per la Chiesa tutta. […] Ho permesso che le mode del mondo entrassero nel tempio con proposte sollecitate dalla paura di non aver séguito, suggerite dal bisogno di avere subito risultati rassicuranti. Ho dimenticato quanto diceva nei giorni conciliari un mio sapiente amico, il card. Suenens: “Chi sposa la moda oggi, domani è vedovo”. Ho favorito in tutto la moda del banale, lasciando che una marea di rumori bizzarri soffocassero le melodie gregoriane che prima di essere canto, sono preghiera. Perché? Per il semplice fatto che a un certo momento anche noi ci siamo preoccupati più di riempire di folla anonima i luoghi di culto invece di sforzarci con il massimo impegno a colmare il cuore dei fedeli con la Parola di Dio. […] Ho di fatto permesso, tra le altre cose, l’espulsione del gregoriano dalla liturgia e ho favorito, invece, il diffondersi di schiamazzi e sdolcinature che, al di là dell’inconsistenza artistica, non sono in grado di orientare i cuori a Dio. […]».
Karol Wojtyla non ha mai pronunciato queste parole, e magari non le ha nemmeno mai pensate. Ratzinger non le ha pronunciate, ma forse, se avesse potuto…
Sì, al di là del gioco di Baroffio, potrebbe essere il momento di tornare ad affermare che esiste una musica (molte musiche) che eleva lo spirito ed una (molte e molto diffuse) che lo svilisce. La dipartita di Jospeh Ratzinger potrebbe essere l’occasione per riportare in auge il suo pensiero.

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