Redazione
d'altroCanto

Un violino spara solo acuti.

Si assiste in questi giorni alla ripetuta invocazione della musica come linguaggio universale di pace. Già sul linguaggio universale potrebbe esservi qualcosa da dire, in considerazione del fatto che, come ogni linguaggio, anche la musica si basa su codici, simboli, rimandi e gusti differenti (e talvolta, appunto, non universalmente comprensibili) in base al luogo, al tempo e alla cultura che li ha ideati e trasmessi. Sulla pace, poi, non occorre andare a scomodare una storia della musica così lontana per individuare matrici fortemente identitarie, quando non nazionaliste, imperiali o, per contro, di aperta contestazione ad un sistema.
Chi invoca la musica in contrapposizione alla guerra, confonde forse il fine col mezzo: non è tanto la musica ad essere linguaggio di pace, bensì l’esercizio della cultura tutta a non porre le condizioni per morti, incendi e disastri ambientali. Un violino spara solo acuti. Sarebbe dunque più onesto contrapporre – ed invocare – gli strumenti musicali alle armi, le orchestre agli eserciti, le scuole di musica alle accademie militari.
Ma già qui il fronte degli invocatori rischia di disgregarsi e non parlare più lo stesso linguaggio universale di pace.

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