Il grande pianista romeno se n’è andato a Losanna nella notte del 17 aprile, dopo una lunga malattia. Nato a Galati 76 anni fa, aveva vinto premi prestigiosi, dal Van Cliburn al Leeds. La Società del Quartetto di Vicenza era riuscita ad averlo ospite più volte.
Benché fosse un uomo oltremodo schivo e solitario, che non rilasciava interviste, non frequentava i social, non promuoveva la sua immagine, ma consegnava solo al pianoforte il molto che aveva da dire, benché fosse una presenza troppo discreta e silenziosa nell’incessante tempesta di schiamazzi che scuote il nostro tempo, la scomparsa di Radu Lupu marca al contrario l’infinito scarto tra il “poco” che concedeva una figura pubblica come la sua, fatta quasi soltanto suono, e il nulla che ora ci impone l’ineluttabilità della sua assenza.
Il grande pianista romeno se n’è andato a Losanna nella notte del 17 aprile, dopo una lunga malattia. Era nato il 30 novembre 1945 a Galati, aveva vinto in gioventù premi prestigiosissimi (il Van Cliburn, l’Enescu, il Leeds), si era esibito nelle maggiori sale, aveva collaborato con grandi interpreti. Da circa tre anni aveva abbandonato le scene.
Proprio nell’aprile del 2019, le precarie condizioni di salute gli avevano imposto di rinunciare a un concerto in stagione per la Società del Quartetto. Fu sostituito all’ultimo da Angela Hewitt che, a testimonianza della stima in cui lo teneva, come tanti altri colleghi, gli aveva fatto gli auguri di pronta guarigione. E invece, forse proprio in quei mesi, Lupu, messo alle strette dalla malattia, stava maturando la decisione di farla finita con la vita del concertista. Così, quella del gennaio 2017, nella sala grande del Comunale, fu la sua ultima esibizione vicentina, sempre su invito del Quartetto. In scaletta Haydn, Schumann e Čajkovskij.
Lo stesso András Schiff aveva dato spazio al talento tutto particolare di Lupu, cedendogli, nel maggio del 2013, l’onore del concerto inaugurale di Omaggio a Palladio al Teatro Olimpico. Fu un recital tutto dedicato a Schubert, il compositore prediletto. Perché come in Schubert l’eloquio musicale sembra continuamente rigenerarsi inesausto e quasi senza meta, anche le letture di Lupu esploravano l’istante e il divenire, in un incessante gioco di sottolineature che illuminava di luce sempre diversa anche la ripetizione dello stesso passaggio, quasi che la musica non si dia nella solida struttura, ma nel flusso infinito di infinite iridescenze.
Almeno altre due volte Radu Lupu ha incantato i vicentini grazie alla Società del Quartetto, nell’ottobre del 2009 al Comunale, in un recital su musiche di Janáček, Beethoven e Schubert inserito nella stagione del centenario, e nel novembre 2007 alla Basilica dei Santi Felice e Fortunato dove aveva suonato Schubert e Debussy.
Di Vicenza aveva apprezzato anche i pianoforti: nel 1994, in visita al laboratorio di Luigi e Paola Borgato, si era innamorato degli strumenti che allora venivano realizzati nella barchessa di Villa Pisani a Bagnolo di Lonigo e aveva deciso di usare il Borgato in concerto.
Con Radu Lupu se ne va un artista appartato e talvolta scontroso, che al pubblico concedeva “solo” la musica, ma del cui silenzio paradossalmente sentiremo la mancanza.