Marco Bellano
notEventi

Beethoven, il maestro
che non dava titoli alle Sonate

“Chiaro di luna”, “Per Elisa”, “Appassionata”: i titoli delle Sonate di Beethoven sono apocrifi romanticismi, per quanto azzeccati o pertinenti. E così, il sesto appuntamento dell’integrale firmata da Filippo Gamba propone “La zoppa”, “La tempesta”, “La caccia” e “La pastorale”.

Ludwig van Beethoven non amava dare titoli descrittivi alle sue composizioni; per questo, quando s’incontra una pagina del maestro di Bonn etichettata con un personaggio o una suggestione, è lecito essere subito sospettosi. La “moda” dei titoli nacque in gran parte nel Romanticismo, che ebbe bisogno di trasformare Beethoven in un personaggio leggendario in lotta contro il fato: e così, “Per Elisa”, il “Chiaro di luna”, l’“Appassionata” e molti altri divennero personaggi indimenticabili di un’epopea immaginaria.
D’altra parte, però, c’è da dire che talvolta questi titoli nascondono un fondo di verità. Ecco perché vale la pena ricordarli, mettendoli nella giusta prospettiva.

Il programma del concerto di Filippo Gamba – il 20 gennaio al Teatro Comunale di Vicenza, per la Società del Quartetto – se “tradotto” in titoli apocrifi, elencherebbe La Boiteuse (“La Zoppa”), la Tempesta, la Caccia e la Pastorale.
Partiamo da quest’ultima, che si incontrerà in chiusura: non si tratta ovviamente della celebre sesta Sinfonia, bensì della Sonata Op. 28, scritta nel 1801. Il nomignolo le venne attribuito verso il 1838 dall’editore amburghese Cranz. In effetti, la Sonata esprime idilliaca serenità e sonorità quasi “popolaresche”, con ostinate ripetizioni di note (il Re che risuona al basso, all’inizio, viene ribattuto per ben sessantaquattro volte consecutive!) e caratteristici ritmi di danza (Ländler). Fa eccezione solo il secondo dei quattro movimenti, più severo e molto amato da Beethoven stesso.

La Zoppa, la Tempesta e la Caccia sono invece le tre Sonate dell’op. 31 sotto mentite spoglie. Dei tre titoli, in verità, solo il secondo ha avuto particolare successo: per giustificarne l’origine, si fece riferimento a una risposta data da Beethoven al suo biografo Anton Schindler, che lo interrogava sul significato dell’opera: «Leggete La Tempesta di Shakespeare»! Benché molti si siano ingegnati a trovare tracce di Prospero e Ariel tra le note, la Tempesta a cui fa riferimento il titolo è più probabilmente di tipo emotivo: tutta l’op. 31 nacque attorno al 1802, il periodo del Testamento di Heiligenstadt, ovvero la drammatica lettera che Beethoven scrisse ai suoi fratelli (senza mai consegnarla), nella quale sfogava la sua disperazione per la progressiva sordità, adombrando il suicidio e proponendosi un riscatto artistico. Era l’inizio del cosiddetto periodo “eroico”, segnato anche da un motto affidato all’amico Wenzel Krumpholz, subito dopo aver pubblicato l’op. 28: «Da oggi in poi seguirò un’altra strada». I contrasti dinamici e di tempo dell’op. 31 n. 2 rispecchiano bene il tumulto interiore di Beethoven, prendendo a prestito persino qualcosa dall’opera lirica (l’andamento in recitativo degli interludi più lenti, nel primo movimento): già si prefigurava quel che sarebbe successo, anni dopo, nella nona Sinfonia.

La Zoppa, invece, fu così chiamata in Francia per via del senso di “zoppicamento” nella prima idea tematica del primo movimento: in generale, si tratta di una Sonata piena di divertimento e ironia. Non fu capita dai contemporanei di Beethoven, al punto che il primo editore, Nägeli di Zurigo, si prese la libertà di “correggere” un’altra presunta “zoppa” del maestro, aggiungendo quattro battute di suo pugno a una frase ritenuta incompiuta. Il che, naturalmente, non fece bene ai notori attacchi di bile di Beethoven…

La Caccia fa invece riferimento a presunti tratti descrittivi dell’op. 31 n. 3; il pianista Jörg Demus suggerì addirittura di chiamare i quattro movimenti “Gli uccelli nel bosco”, “Cavalcata all’alba”, “Canzone campagnola” e, appunto, “La caccia”: in effetti, l’ultimo movimento presenta idee come l’imitazione delle “stonature” dei corni e un tema che ricorda un Lied di poco posteriore dello stesso Beethoven, intitolato Der Wachtelschlag (Il canto della quaglia). Più che il quadretto descrittivo, però, quel che emerge in questa Sonata è un’evidente ricerca sperimentale, come in tutta l’op. 31; prova ne è che, in Beethoven, la Sonata è l’unica tra quelle in quattro parti a non presentare alcun movimento lento. Ci sono invece uno Scherzo e un Menuetto, con intento ironico e nostalgico nei confronti della maniera classica.

La Sonata in apertura di concerto, la op. 14 n. 2, non ha invece altri nomi; pur essendo precedente (1799), ha comunque anch’essa la sua dose di sperimentalismo. Nel secondo movimento, infatti, troviamo per la prima volta un tema con variazioni in una Sonata per pianoforte: si tratta di una piccola rivoluzione formale che sarebbe stata ricordata a lungo da Beethoven e dai suoi successori. Anche senza bisogno di titoli.

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