Bepi De Marzi
ilConcertoNONèMorto

La voce, il timbro, l’intonazione …ma non si canta più

Musica delle Tradizioni. Aspettando la partecipazione de I Crodaioli e di Bepi De Marzi al festival che si terrà il prossimo ottobre, ecco il pensiero del maestro sul primo strumento musicale di cui tutti sono dotati: la voce.

Nel 1932, mentre si prospettava la criminale dittatura nazista, Hitler ha assoldato un celebre cantante d’opera, Paul Devrients, come Rhetoriklehrer. Voleva migliorare il timbro di voce, che aveva fioco e incolore, e soprattutto raggiungere una gestualità autoritaria, violenta, coinvolgente, mai vista prima. La gestualità! Toscanini non disdegnava, come poi von Karajan, di guardarsi allo specchio mentre seguiva con la mente le sue interpretazioni musicali. Oggi, e spiace dirlo, possiamo definire inguardabile il direttore della Cappella Sistina che anche per sollecitare un “amen” si agita in gesti incomprensibili. In uno dei suoi prodigiosi “Manuali” per gli attori, il Premio Nobel Dario Fo ha scritto: “Tra non molto scomparirà il professionismo nell’arte, in tutta l’arte. E anche la voce sarà soprattutto un’imitazione, annullando il timbro personale”.

La voce. Il timbro. L’intonazione. Il timbro è sempre più un’imitazione. I nostri giovani industriali che vanno negli Stati Uniti a far pratica di “cinismo gestionale” tornano esprimendosi con una specie di falsetto acuto, nasale, grottesco, ridicolo. Che passa pian piano… Come “si prende” la cantilena, che è l’intonazione, si assimila il timbro, che significa qualità, caratteristica sonora. Nel Veneto si notano timbri diversi, come impressionano subito le intonazioni. A Verona il timbro maschile è rasposo; quello femminile è squillante. A Vicenza città il timbro è in voce piena, soprattutto quello maschile. E si nota una specie di gridato talvolta risibile, come di chi passa con il cellulare e le cuffiette quasi urlando nel dialogo telefonico. I bellunesi, dai vocaboli tronchi, ma non dipende dal timbro, tendono a esprimersi tutti quasi sussurrando; il cantilenare è in tono retto. Anche sull’Altopiano di Asiago ci si esprime in tono orizzontale e il timbro è molto incisivo, pur se di limitata intensità. La Marca Trevigiana si fa ascoltare in timbro mediano, ma non in voce piena. E si ricordano i due caratteristici timbri friulani maschili: da basso profondo, come parlavano sapientemente padre Turoldo e il vescovo Nonis, e da tenore di falsetto, quasi denaturando la voce tra gola e zigomi, come il celebre giornalista sportivo Bruno Pizzul. Tutto ciò si esprime anche nel cantare. Ma diremo ampiamente dei gruppi organizzati.

Prima è inevitabile ricordare il defunto cantare collettivo. Si cantava all’osteria. Ma le osterie sono scomparse. Si cantava nelle sere d’estate e del primo autunno durante qualche lavoro contadino sotto il portico. Ma non ci sono più contadini veri. Si cantava nelle filande: un ricordo lontanissimo. I canti di lavoro sono quasi tutti un’invenzione dei ricercatori. Come non si è mai cantato in guerra. Perciò non sono autentici i cosiddetti canti di soldati. Infine, ecco le chiese sempre più vuote. E mute. Ecco i sacerdoti sconcertati dalle rottamazioni operate implacabilmente dalle Curie. Pare quasi una diabolica vendetta. Parrocchie cancellate. Sacerdoti maturi e non ancora stanchi mandati a casa senza un gesto di riconoscenza. Sgomento e malinconia. E non si canta più.