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Girardi, CorSera: «Coprire le spalle a poche grandi istituzioni»

Mettere a tema la dispersione geografica musicale per concentrare le risorse dello Stato su poche grandi istituzioni. È questa l’idea del giornalista Enrico Girardi, critico musicale del Corriere della Sera, che avverte: a volte basta molto meno di una crisi di questa entità per far saltare una delle centinaia di realtà in cui si disperde l’organizzazione dell’offerta musicale in Italia.

Mercoledì 15 aprile si è svolta la prima tavola rotonda in diretta streaming sul canale facebook della Società del Quartetto di Vicenza, dal titolo “Tornare a far musica”. Sul tema del post Coronavirus, moderati dal critico musicale Cesare Galla, si sono susseguite le voci di vari addetti ai lavori del settore dello spettacolo dal vivo. Pubblichiamo – in varie puntate – gli interventi di ciascun relatore (le parti salienti per iscritto e l’estratto video dell’intervento completo), seguiti da un breve commento del direttore di MusiCare.

Enrico Girardi, Corriere della sera
«Quello attuale è un presente molto incerto, in cui si vive un po’ alla giornata, in tutti gli ambiti; il futuro va immaginato, certo, anche utopisticamente – chi ha la capacità di guardare avanti realizza grandi cose –, ma ho molti dubbi che tutti questi palliativi possano avere delle funzioni ed un ruolo in un mondo che ha delle regole così fisse e canonizzate, come quello musicale.
Può essere che per un certo periodo riscopriremo determinati ambiti che vengono sacrificati in nome dello “spettacolone”: penso alla musica da camera e per ensemble, penso al teatro da camera, i madrigali, la musica dal ‘500 al ‘700.
Si tratta però anche di fare un bilancio di quanto è stato finora: mi sto chiedendo se non sia il caso di ripensare la politica italiana nella gestione delle cose musicali. Nei principali Paesi europei abbiamo delle grandi istituzioni sostenute in maniera forte dallo Stato; pensiamo ai festival: per la Francia è Aix-en-Provence, per la Germania è Bayreuth, per l’Austria è Salisburgo, per UK è Edimburgo… Noi abbiamo decine e decine se non centinaia di iniziative piccole. Talmente piccole e “con le spalle scoperte” che poi basta molto meno di una cosa enorme come questa pandemia per andare in crisi. È vero che è nella natura italiana, ma non sarebbe il caso di ripensare questa geografia della musica in Italia? Stabilire che ci sono delle istituzioni di riferimento che devono avere le spalle più coperte. E non mi riferisco solo a Scala e Santa Cecilia, che sono le due grandi realtà internazionali del nostro Paese.
Più che affannarsi a pensare come ripartire, se con cinque, cinquanta o duecento spettatori, forse conviene fare in modo che si riparta in una maniera che sia più organizzata e tutelata. Perché poi non occorre una crisi enorme come questa, basta uno sponsor che non sia più tale a far morire in brevissimo tempo molte realtà.
Questo problema della dispersione musicale credo dovrebbe essere messo a tema, senza nulla togliere alle tante iniziative che a volte, anche in modo miracoloso, con pochi soldi realizzano attività meravigliose.»

Giusto cogliere l’occasione per ripensare profondamente il sistema dell’offerta musicale in tutto il Paese e le modalità di erogazione dei finanziamenti pubblici. Sarebbe forse tuttavia preferibile non partire dalla grandezza o importanza dei soggetti organizzatori, già proporzionalmente più finanziati e tutelati, ma cercare di premiare la qualità espressa e le ricadute sul territorio, indipendentemente dalle dimensioni. Tanto più che la prima idea di Girardi – tornare per un periodo a riscoprire gruppi da camera e piccoli ensemble – sembra andare nella direzione opposta: gli esperti a trattare questo genere di musica, in Italia, non coincidono con le grandi istituzioni lirico-sinfoniche.
Altro problema sarà capire come decidere chi “sacrificare” e a favore di chi. In un Paese di “campanili” – come osserva giustamente Girardi – in cui si fatica a concertare l’offerta tra le associazioni musicali anche in piccole città di provincia (Vicenza ne è un perfetto esempio), sarà difficile produrre un minimo di confronto a livello nazionale, magari al fine di perfezionare e misurare l’offerta seguendo i parametri di specializzazione, formazione, sostenibilità, fruibilità, indotto. Sarebbe bello, e giusto. Un FUS ponderato e misurato. (Giovanni Costantini)

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