Filippo Lovato
echi

Compositore commerciale, musicista assoluto: addio a Morricone

Se n’è andato scivolando sulla sua scala di Do maggiore, con semplicità e senza far rumore, il maestro della musica da film italiana, Ennio Morricone. Avrebbe voluto e potuto essere anche molto altro, nella musica, non molto di più. Le sue colonne sonore, libere del legame con la bobina di celluloide, sopravviveranno più di alcuni film che hanno musicato e continueranno a commentare le trame delle nostre vite.

Secondo Arnold Schönberg rimane ancora da scrivere tanta buona musica in Do maggiore. La scala che scivola sui tasti bianchi del pianoforte non è stata certo l’unica che ha sedotto Ennio Morricone, ma il compositore romano, scomparso nella notte tra il 5 e il 6 luglio, ammetteva di usare un linguaggio “semplice” quando si trattava di pensare a una colonna sonora o a un arrangiamento per una canzone. Anche se, trombettista diplomato e allievo in composizione di Goffredo Petrassi, non disdegnava di animare l’avanguardia romana dagli anni Cinquanta in poi con lavori che, se non avevano i titoli scientifico-spaziali di Xenakis, Ligeti o Varèse, suonavano più prosaicamente come Concerto per orchestra, Sonata per ottoni, timpani e pianoforte, Tre studi per flauto, clarinetto e fagotto, per osare al più con Frammenti di giochi, per violoncello e arpa. Però è per le colonne sonore (più di cinquecento) a cui ha prestato il suo ingegno, per gli arrangiamenti di canzoni ormai indelebili (Sapore di sale, Se telefonando, Il mondo, Abbronzatissima…) che sarà ricordato, malgrado il centinaio di composizioni di musica assoluta a cui si era dedicato quando era libero dalle sue commissioni “commerciali”.
“Music is music” avrebbe detto, per incoraggiarlo, Alban Berg a George Gershwin, intimidito dall’idea di proporre una sua canzone dopo aver ascoltato la voluttuosa Lyrische Suite del primo. In Morricone convivevano l’uno e l’altro, il compositore commerciale e il musicista assoluto avvinti nella ferma convinzione che non è il genere in cui si prova un autore a determinare la qualità della sua opera, ma la capacità di essere efficace rispetto all’obiettivo. E Morricone era efficace. Talvolta fin troppo efficace, perché le sue colonne sonore erano tanto vivide e avvincenti da adombrare le immagini che dovevano scortare. Chi si ricorda la miniserie Il Segreto del Sahara del 1988? Ma chi può dimenticare la voce di Amii Stewart che intona Saharan Dream, culmine della musica scritta da Morricone per lo sceneggiato Rai? Ad alcune colonne sonore del musicista romano spetterà il destino di certe ouverture d’opera di Rossini: le prime sopravvivranno, sole vestigia di una pellicola dimenticata, così come alle seconde capita di rallegrare i programmi di sala, senza la vicenda che avrebbe dovuto seguire.
La musica di Morricone ha già dimostrato di saper sfidare i tentennamenti della memoria, proprio per la sua capacità di generare altra musica, di innestarsi nella corrente dell’ispirazione di altri musicisti, di fecondare i generi più disparati. Al di là dei meritatissimi premi e delle giuste lodi, il compositore romano è stato già ben più che ricompensato in vita dalla diffusione dei suoi lavori. Morricone ha installato la sua musica nella storia dell’umanità: le sue colonne sonore, libere del legame con la bobina di celluloide, continuano a commentare le trame delle nostre vite.