Quale cultura e quale bellezza nel mettere in vetrina nella TV di Stato un personaggio quanto meno di dubbio gusto? Le parole di Riccardo Muti sulla cultura nei palinsesti televisivi fanno da contraltare intelligente e sensato alla bassezza di ciò che passa nel grande schermo (ed alle polemiche che ne seguono).
Dopo la polemica sulle frasi pronunciate dal conduttore televisivo Amadeus durante la conferenza stampa di presentazione del Festival di Sanremo, ora i riflettori sono puntati sul “cantante” Junior Cally, in gara quest’anno. Junior Cally è un rapper che, come molti altri, nelle proprie “canzoni” inserisce frasi e contenuti che parlano di violenza e, in un certo senso, alla stessa incitano o, quanto meno, invitano.
Un giro sulla rete per capire meglio chi sia questo personaggio racconta che all’anagrafe è Antonio Signore, classe 1991, rapper e produttore discografico italiano. Su Wikipedia si trovano scarne informazioni se non che ha scritto un libro, Il principe. È meglio essere temuto che amato, nel quale il rapper racconta “di aver convissuto per quattro anni, nella periferia romana, con una presunta leucemia che poi si rivelò non essere tale ma che lo segnò a tal punto da riscontrare successivamente un disturbo ossessivo compulsivo della personalità.” Andando su YouTube, però, i dati sono impressionanti: Junior Cally è seguito da 269.000 iscritti ed i suoi video hanno avuto 45.547.756 visualizzazioni.
Fermo restando che non vi sono dubbi in merito al fatto che il brano accettato dalla commissione artistica presieduta da Amadeus non abbia contenuti deprecabili, la domanda su cui ci si interroga è se sia giusto o meno accettare che una proposta di questo tipo – ossia questo rapper ed il suo messaggio – venga promossa dalla televisione pubblica, in una trasmissione seguita da milioni di persone.
Tornano in mente le parole del maestro Riccardo Muti, rivolte a chi produce e determina i palinsesti televisivi: “Questa non è cultura, è narcotizzare la gente che ne avrebbe, invece, bisogno, poiché è la colonna vertebrale della nostra storia per non perdere l’identità di chi siamo”. Lo sguardo sul nostro Paese del direttore d’orchestra è «preoccupatissimo»: le nuove generazioni, afferma, “devono combattere contro l’obnubilamento generale. Una battaglia resa ancora più impervia in quanto l’apparato statale rema contro”.
Sanremo, che per storia, costume e visibilità, potrebbe essere una vetrina assai credibile per proporre un certo tipo di contenuti, cade anch’esso nel diabolico tranello di scegliere chi far gareggiare non per meriti artistici, ma guardando quasi esclusivamente i freddi numeri ottenuti in rete.
Premesso che è sempre pericoloso etichettare ciò che è cultura e ciò che non lo è, l’auspicio è che un certo tipo di “bellezza” non sia ancora del tutto defunta nella società italiana, ma che si sia addormentata nelle coscienze di molti spettatori e cittadini ipnotizzati da troppi programmi spazzatura e da cattive abitudini.