Luisella Ferrarese
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Fare la prof nella stagione della semina a distanza

«Non occorre sempre condividere, si può anche solo accennare, suggerire, lasciare una traccia». Gli studenti raccoglieranno. Ne è convinta Luisella Ferrarese, docente di Lettere in un liceo di Vicenza, che ai suoi alunni propone ascolti, segnala opere, racconta esperienze. A distanza. «Nel ritorno alla “normalità” forse vorranno vivere un’esperienza nuova: entrare in un teatro o in una sala da concerto per godersi dal vivo un programma beethoveniano o stravinskijano».
Ma intanto, che vita è senza sinestesie?

DAD: il nome d’affetto della figura genitoriale in inglese confluisce nell’acronimo che identifica la scuola intrapresa “da remoto”. La Didattica a Distanza è infatti la configurazione reattiva assunta dalle scuole italiane di fronte alla sospensione delle attività “in presenza”. Le famiglie stanno a casa nei giorni feriali, e la scuola (PADRE educatore autorevole) entra nelle case degli studenti.
Se nella quotidianità di tutti è cambiato tutto, in una matematica dell’incertezza dei bollettini sanitari, qualcuno prova a rispondere, almeno parzialmente, alla necessità di punti fermi. Docenti di ogni età e materia si assumono la responsabilità di consegnare a domicilio un contributo alla salvaguardia del sapere e anche della cultura.
Una prof come tante, che insegna Lettere in un liceo come tanti, in una cittadina come tante, va in onda tutti i giorni, ad orari stabiliti, contemporaneamente a tanti suoi colleghi. Si è installata, come tutti, una piattaforma, grazie alle istruzioni di colleghe e studenti, impartite pazientemente al telefono. Frettolose prove generali e via in diretta, con un brivido di tensione, forse vertigini: dalla piattaforma si tuffa, da sola, davanti ad un pubblico esigente e giudicante. Non può, l’attempata prof, fermarsi a considerare che da troppo tempo la tessera del Cineforum non esce dal cassetto della sua scrivania, che il concerto sinfonico al Teatro Comunale è stato annullato, che sono stati cancellati gli appuntamenti cameristici del Conservatorio cittadino, che la mostra in Basilica è chiusa. Non è il momento di lagnarsi o sospirare per i giorni tutti uguali, senza velluti e “buio nella sala”. Davanti a sé i rettangolini che occupano l’area dello schermo si schierano, ma non prendono posto in un’aula. Si palesano uno alla volta. Non si prestano le matite, non sfilano libri dagli zaini, non appendono giacconi e cappotti. Alla prof mancano le sinestesie: aroma di caffè e arance combinato con il suono della campanella, la voce allegra di una studentessa sovrapposta alla polvere di gesso fra le dita. Quindicenni abitualmente impegnati negli sport più vari, che ora compaiono pallidi alla scrivania della loro stanza; diciottenni dall’espressione tirata, che non possono festeggiare fuori casa il compleanno più importante della loro vita; maturande campionesse mondiali di arti marziali, che non possono uscire per gli allenamenti: questo è il parterre des rois.
Sorriso convinto (da quanto tempo non vede le sue classi!) e voce ferma, la prof “incontra” ogni mattina gli studenti e fa lezione, assegna compiti, corregge le prove ricevute per posta. È il tentativo, goffo quanto illusorio, di ripristinare le abitudini, i ruoli, le convenzioni? La prof sa di non essere capace di miracoli o di gesti consolatori, come sa di essere molto più fortunata degli studenti per ricchezza di già vissuto, esperito, visitato, letto, goduto. Quanto basta per tirare il registro dell’entusiasmo: selezionare ogni giorno cose serie, cose difficili, cose dense, a comporre nutrimento di Bellezza. Nei minuti “dal vivo” offrire proposte per mantenere alta, a collegamento concluso, la lunga estensione dell’«Io resto a casa»: celebrare la Poesia nell’equinozio di primavera e nel Dantedì, arricchire la lettura de Il Gattopardo con la versione cinematografica, confrontare una pagina del libretto di Da Ponte con una selezione di scene del mozartiano Don Giovanni.
Non occorre sempre condividere, si può anche solo accennare, suggerire, lasciare una traccia. Non occorre sfoggiare pedantemente coordinate erudite: se accoglieranno il consiglio della prof, i liceali di Quarta linguistico guarderanno Barry Lyndon sostenuti da un Händel indimenticabile (la Sarabanda dalla Suite per clavicembalo n. 4 in Re minore HWV 437); quelli di Quinta, se sceglieranno Morte a Venezia, incontreranno l’Adagietto di Mahler.
Se fare cultura è coltivare (sé e gli altri), queste settimane sospese e ferme sono stagione di semina: i professori si occupano di aiole in cui trovano posto, venticinque alla volta, ragazzi che hanno bisogno di accarezzarsi il profilo di ali appena spuntate, di faticare per avvertire la propria intelligenza, di conoscere per conseguire consapevolezza, ma anche di emozionarsi, di prepararsi a scegliere.
Un giorno usciranno di casa, torneranno sui prati, in palestra, sulle piste ciclabili, voleranno a New York o tra le braccia della persona amata. Nel ritorno alla “normalità” forse vorranno vivere un’esperienza nuova: entrare in un teatro o in una sala da concerto per godersi dal vivo un programma beethoveniano o stravinskijano (Triplo Concerto, Sacre du printemps?). Guardate, qualche fila più avanti, c’è proprio la prof, intenta ad assaporare sinestesie: all’abbassarsi delle luci il gesto assertivo ed elegante del direttore d’orchestra (un suo ex studente, giovane talentuoso) avvia note a lei note, che si accompagnano agli accordi olfattivi del profumo francese indossato per l’occasione.

 


* Luisella Ferrarese, torinese di nascita, vicentina d’adozione, da non pochi anni insegna materie letterarie nei licei della città di Vicenza, legge libri, va al cinema, viaggia, visita mostre e musei, partecipa alle attività della “Dante Alighieri”, ascolta musica con ogni mezzo e frequenta le sale da concerto.