Federica Artuso
echi

L’insostenibile leggerezza della musica

“Ma davvero la pesantezza è terribile e la leggerezza è meravigliosa?
[…] Quanto più il fardello è pesante, tanto più la nostra vita è vicina alla terra, tanto più è reale e autentica. Al contrario, l’assenza assoluta di un fardello fa sì che l’uomo diventi più leggero dell’aria […], diventi solo a metà reale e i suoi movimenti siano tanto liberi quanto privi di significato.
Che cosa dobbiamo scegliere, allora? La pesantezza o la leggerezza?
Che cos’è positivo? La pesantezza o la leggerezza?
Parmenide rispose: il leggero è il positivo, il pesante è negativo.
Aveva ragione oppure no? Questo è il problema. Una sola cosa era certa: l’opposizione pesante-
leggero è la più misteriosa e la più ambigua tra tutte le opposizioni.
Tratto da Milan Kundera, “L’insostenibile leggerezza dell’essere”

Le canzoni che arrivano ultime in classifica al festival di Sanremo diventano spesso dei tormentoni. E d’altro canto le prime tre classificate entrano nella storia del concorso. Ma la canzone di cui trattiamo non è né tra le ultime né tra le tre salite sul podio. Apparentemente una canzone senza infamia e senza lode.
Leggera e contemporaneamente pesante. Come un film di Woody Allen: sagace nei toni, scabrosa nei contenuti. Una canzone che conquista non soltanto perché ti entra in testa, ma anche perché questo suo essere orecchiabile è parte integrante del significato del suo messaggio (“è la sua estetica”, direbbe il critico colto). Tratta temi torbidi con la nonchalance di uno “strizza-cervelli” che, più è professionale meno è coinvolto nei problemi, insormontabili e irrisolvibili; anzi: è deontologico proprio il fatto che, in fondo, del problema non gliene importa niente.
La semplicità musicale di questa canzone è paradossalmente azzeccata ad esprimere lo stato d’animo che il testo descrive: la profondità nella superficie, l’autenticità nell’adeguamento.
“Musica leggerissima” invita a lasciarsi andare al flusso degli eventi, senza cercare la profondità nelle cose complicate. Ascoltare “Musica leggerissima” è una tregua dalla fatica dei concetti che affollano i pensieri, dalla necessità vuota dell’essere impegnati in mille doveri. È una sdrammatizzazione, e per nulla banale.
Ci sono tanti modi di ascoltare la musica: chi ama la cosiddetta ‘classica’ forse potrà provare ad imparare qualcosa dalla musica leggera, spesso demonizzata ma altrettanto canticchiata dalla categoria in questione. In fondo c’è musica e musica perché nella vita ci sono momenti e momenti. Il filosofo Vladimir Jankélévitch in “La musica e l’ineffabile” prende in giro gli appassionati di musica classica che, ai concerti cameristici, hanno “la fronte corrugata dalla concentrazione meditabonda e il viso devastato dai quartetti”. E forse un po’ di ragione possiamo anche concedergliela!

“Musica leggerissima” non è sembrata la solita canzone ad elenco che va tanto di moda oggi, come quella in cui Lo stato sociale si autodenunciava: “sono così indie che mi costruisco una carriera con le canzoni ad elenco” (“Sono così indie”, 2018).

Esagerando un po’, “Musica leggerissima” è una canzone che potrebbe anche tenerci a galla dal baratro: “metti un po’ di musica leggera nel silenzio assordante, per non cadere dentro al buco nero, che sta ad un passo da noi”. D’altra parte certi nodi della vita non si possono risolvere con la coerenza di un ragionamento destinato a durare all’infinito.
Forse la leggerezza di questa canzone potrebbe essere il modo giusto per accettare la direzione del proprio sentire e per coglierne la profondità, ma senza restare imprigionati nella seriosità dei propri pensieri. Lo stato d’animo che ti lascia è la freschezza dell’insostenibile leggerezza dell’essere narrata da Kundera nell’omonimo romanzo. “Musica leggerissima” potrebbe essere una seduta di mindfulness.
In fondo, quando chiediamo una musica leggerissima, stiamo chiedendo una sensazione leggerissima. Nella vita, oltre alla paura e al coraggio, abbiamo bisogno anche del brusio, del glamour, della chiacchiera, del “non voglio pensare a niente”. Anche “non avere bisogno di niente” è un bisogno! Non è che quando non “pensiamo a niente”, allora siamo vivi solo a metà. Chi riuscirebbe a fare a meno di adeguarsi a qualche cosa nella vita? Ad esempio alle antiche tradizioni o alle nuove mode (che poca differenza hanno tra loro)?
È quello che Heidegger chiamava il man, il si impersonale. Nella vita, con la giusta moderazione, ci vuole anche la leggerezza!

Federica Artuso. Amo la musica e la filosofia: sono diplomata con lode e menzione speciale in chitarra e laureata in filosofia. Mi occupo di donne compositrici e infatti la mia ultima incisione comprende l’opera omnia della virtuosa ottocentesca Emilia Giuliani (Tactus, 2021). Mi piacciono Woody Allen, lo Yoga, gli spazi aperti e le chitarre antiche. www.federicaartusoguitar.com