Giovanni Sollima non ha dubbi: “La vita del musicista non deve essere trascorsa all’interno di una bolla di cristallo”. Il violoncellista e compositore palermitano risponde alle nostre domande sul ruolo della musica nella società, sull’attualità e sul futuro dei giovani, sull’Italia e sul suo sistema d’istruzione, confermando un pensiero libero e la capacità di trascinare: con la musica e con le parole.
27 gennaio 2020, Giovanni Sollima al Teatro Comunale di Vicenza per la giornata della memoria, in un concerto per la Società del Quartetto che ha spaziato dal ‘600 di Salomone Rossi alle sue composizioni. Ma anche improvvisazioni su temi ebraici e accostamenti inediti: da Bach a Bella ciao, con Sollima, il passo è breve.
E allora, quale occasione migliore per parlare anche dell’oggi, non solo della memoria. Per chiedere a questo musicista, da sempre con le maniche rimboccate (non solo metaforicamente) e le mani impastate di vita sociale, se è sufficiente la musica o se è il momento di parlare al pubblico: il musicista, oggi, può limitarsi a suonare o deve anche esprimere un pensiero (se ce l’ha)?
Giovanni Sollima – esecutore, compositore, ricercatore, sperimentatore… cittadino – non ha dubbi, e non si tira indietro.
Il musicista: “La vita del musicista non deve essere trascorsa all’interno di una bolla di cristallo, di isolamento, perché trovo deleteria questa cosa”.
Il concerto: “La musica può essere forte anche raccontata in modo diverso, in modo informale; ci vuole una proposta che stimoli la curiosità”.
L’Italia: “È un Paese ricco di creatività; ma quello che a noi serve ora è la reattività: non siamo rappresentati bene politicamente, non c’è un pensiero”.
La scuola: “Ci sono dei buchi nel percorso di formazione, ma se uno ha creatività nell’insegnamento li sfrutta per fare delle cose belle”.
E, ovviamente, la musica. Dove il maestro Sollima, senza rendersene conto, tocca la poesia ed emoziona come quando suona: “La musica, nella sua fragilità, è potente; ci porta a reagire sul piano emotivo”.